18 Ottobre 2016,ore 10.08

THE WEEKLY DATE | Liverpool, fallito l’aggancio alla vetta. Mou, i nodi verranno al pettine?

Rooney

Lo abbiamo aspettato, eccome se lo abbiamo aspettato. Lo abbiamo desiderato, contando alla rovescia sin dal termine dello scorso turno di Premier League. Lo abbiamo bramato per tutto il corso della pausa, credendo nel miraggio anche quando sembrava non dovesse arrivare mai. Liverpool-Manchester United non è mai stata né mai sarà una gara come le altre, ed è sicuramente superfluo ricordarlo, eppure stavolta la sensazione è che l’attesa abbia pagato meno del solito. Difficile descrivere a parole quell’amaro in bocca che uno 0-0 lascia a chi confida nel Monday Night più prestigioso della stagione per trascorrere una serata, ancor più difficile mandarlo giù se di fronte si hanno dati e precedenti che mai avrebbero lasciato ipotizzare un finale così avaro.

Alla vigilia della gara, dall’inizio del campionato il Liverpool aveva sempre subito almeno una rete. Sempre, nessuna eccezione. Così come, nello stesso arco di tempo, il Man United almeno una rete la aveva sempre segnata. E non è tutto. Solo due volte, negli ultimi venticinque anni, il Derby d’Inghilterra era terminato a reti inviolate: nel settembre del 2005, ad Anfield, e nell’ottobre del 1991, all’Old Trafford. Un insieme di motivi per cui l’Over – parlando in termini di betting – era quota talmente probabile che in pochi ci hanno puntato. Quei pochi che, alla luce dei fatti, ci hanno visto decisamente male.

Che la partita non sarebbe stata particolarmente accesa lo si poteva intuire già dallo schieramento iper-difensivo di Mou. Davanti alla linea difensiva erano dati in partenza Fellaini e Pogba, con il trio Rashford-Herrera-Young alle spalle di Ibrahimovic. In realtà le cose vanno molto diversamente, e il 4-2-3-1 impostato sulla carta dallo Special One si tramuta ben presto in un simil 4-4-2 compatto e volto a fare densità, ma poco allineato. Pogba si muove di fatto da centravanti aggiunto, tanto da mantenere il proprio baricentro più alto rispetto a quello di Ibrahimovic per tutto il corso della prima frazione di gioco. L’uomo più avanzato degli ospiti è però Rashford, cui è affidata la fascia destra. Ben più limitate sono le sortite offensive di Ashley Young, riproposto titolare dopo un paio di spezzoni e poco più: lui stesso, probabilmente, si sarà domandato che cosa ci facesse in campo. In sostanza, il diktat di Mourinho è chiaro e non stupisce affatto: prima non prenderle, poi si vedrà.

Ed in effetti ha tutte le ragioni del mondo per temere il 4-3-3 di Klopp. Il Liverpool, sempre vincente dalla quarta giornata in poi dopo un avvio un po’ in chiaroscuro, è la squadra più in forma del torneo: in caso di vittoria, i Reds aggancerebbero Manchester City e Arsenal a quota 19, sorpassando in un colpo solo Chelsea e Tottenham. A protezione del confermatissimo Karius trovano spazio, rispettivamente da destra verso sinistra, Clyne, Matip, Lovren e Milner, con Henderson vertice basso del centrocampo a tre completato da Can e Coutinho in veste di mezzali. Il rapidissimo tridente offensivo dei padroni di casa, composto da Manè, Sturridge e Firmino, è uno dei maggiori motivi di preoccupazione per Mourinho, che conferma in toto la propria retroguardia di fiducia, leggermente modificata a partire dall’infortunio di Shaw.

Da una prima frazione che scarna è dire poco emergono spunti a volontà, e quasi tutti dal lato del Man United. Pogba gioca con una precisione poco superiore al 70%, ma fallisce la maggior parte dei passaggi leggermente più impegnativi della norma. Riesce quantomeno a mantenere con una certa regolarità la posizione sul campo, ma l’impressione è che lo faccia esclusivamente per costrizione. Non ne è convinto, e lo dimostra non incidendo praticamente mai nel corso della gara, nonostante la maggiore occasione dei suoi derivi proprio dal traversone made in France malamente sprecato da Ibra al 9′ della ripresa.

Anche Ibra, pur garantendo il solito prezioso lavoro di sponda, non gioca una gara da evidenziare in positivo: dei 24 passaggi andati a buon fine, ad esempio, ben 15 sono all’indietro, e addirittura 10 finiscono nella metà campo difensiva. Dall’altra parte Sturridge gioca sì meno palloni ed è meno nel vivo del gioco (13 i passaggi riusciti, con una percentuale del 76.5%), ma ha dalla sua il merito di tentare di più nella zona calda. La diversa interpretazione della gara da parte dei due centravanti è un aspetto interessante di questo Liverpool-Manchester United, in cui a rivelarsi maggiormente incisivi sono stati eccezionalmente gli uomini solitamente meno da cover. È evidente come tra i due sia stato Ibra quello più importante per la propria squadra, ma allo stesso tempo è lecito aspettarsi da lui qualcosa in più.

Chi non ha certo peccato in quanto a continuità nel corso della gara è invece Ander Herrera. Tackles, dribbling, proposizione e leadership da vendere: l’ex Bilbao recita una parte fondamentale nello spettacolo di Anfield, e la sua collocazione tattica – in stretta marcatura su Coutinho – è probabilmente la maggiore intuizione di Mourinho nella preparazione della gara.

A proposito di Coutinho, che dire. Imbarazzante la facilità con cui si libera degli avversari, non osiamo pensare a quanto male avrebbe potuto fare a questo Man United senza il sopracitato Herrera. Il brasiliano, reinventato mezzala da Klopp, gioca con una percentuale di passaggi dell’81%, ed è tra i più pericolosi in assoluto della gara con ben 19 passaggi riusciti sulla trequarti avversaria. Dati che fanno riflettere su quanto l’equilibrio tattico raggiunto dal Liverpool – e dunque dai suoi singoli elementi – incida sulla prestazione della squadra.

Proprio da un colpo di tacco dalle fattezze magiche dell’ex Inter ha origine una delle maggiori occasioni dei Reds: Can si appoggia e Cou la fa filtrare con il tacco a scavalcare Fellaini, poi Valencia ci mette una pezza con un prodigioso intervento in scivolata ai danni di Firmino nel cuore dell’area. Qualche minuto prima lo stesso Can, su invito di Matip, aveva impensierito un De Gea in forma smagliante, poi ripetutosi al 70′ su – indovinate chi? – Philippe Coutinho.

Fondamentalmente cambia tutto quando, al 60′, Klopp richiama in panchina Sturridge e butta dentro (lo fa davvero, con un fantastico spintone motivazionale) Lallana: il dinamismo del numero 20 dei Reds mette in seria difficoltà il Man United dal punto di vista dell’organizzazione difensiva, che fino a pochi istanti prima era riuscita ad arginare senza particolari lo stesso Sturridge. È questa, se vogliamo, una delle chiavi di lettura che giustificano la svolta (soltanto apparente) del match, concretizzatasi in una mezz’ora finale di assoluto dominio da parte del Liverpool.

Dominio che si traduce in un possesso palla al 90′ pari a 65-35 punti percentuali; un dato schiacciante, per certi versi umiliante. Quello che non ha praticamente mai oltrepassato la metà campo dal 60′ in poi – ricordiamolo – è lo stesso Manchester United dei €200M spesi sul mercato.

Lo 0-0 penalizza chiaramente un Liverpool che avrebbe meritato di fare bottino pieno, mentre Mourinho può tornare a casa soddisfatto: ancora una volta, seppur soltanto in parte, ha avuto ragione lui. Fin dove potrà spingersi un Manchester United tanto remissivo e slegato? Difficile dirlo adesso, in un momento in cui sono a galla tutti i difetti di un organico giovane dal punto di vista della edificazione del progetto, ma la sensazione è che ci siano squadre ben più attrezzate. Se ve lo steste chiedendo, sì. Il Liverpool è una di queste.

 

SIMONE TORRICINI @TorriciniSimone