Manchester è stata ribattezzata dagli inglesi “la città dello sport”. La questione è capire se e fino a che punto questa denominazione sia frutto di un generalizzato e spontaneo convincimento popolare, una sorta di pensiero automatico che si lega inscindibilmente alla città, o, invece, se si tratti soltanto di un’etichetta di comodo, affibbiata per mancanze di alternative più attraenti. In quest’ultimo caso, sarebbe un po’ come ammettere che le due squadre di calcio sono i veri marchi della città, i fattori che la rendono nota e interessante in tutto il mondo. In fondo, è abbastanza diffusa l’opinione secondo cui Manchester non è esattamente una città ricca di bellezza, come molte altre realtà a forte tradizione industriale peraltro.

Certo le cose non migliorano se si guarda al clima. A parte la pioggia, una costante in terra d’Albione, a Manchester a farla da padrone è soprattutto il vento. I Mancuniani lo chiamano breeze e ci sono talmente abituati da averci quasi instaurato una relazione di confidenza.
Il motto della città è Concilio et Labore, un residuo storico e un omaggio all’impero che quella città l’ha messa in piedi. Saggezza e Fatica: quelle che servirono agli antichi romani più di duemila anni fa; quelle che nel XVIII secolo trasformarono un anonimo borgo del centro-nord d’Inghilterra in uno degli epicentri della rivoluzione industriale; le stesse che servono adesso, 2015, ai protagonisti del calcio di Manchester per uscire dal grigio che tutto sta avvolgendo e tornare a splendere.
BORING UNITED
Dalle parti dell’Old Trafford intanto imperversa la noia. Vedere giocare il Manchester United quest’anno è davvero un esercizio impegnativo, che richiede applicazione e uno sforzo non indifferente. La squadra fatica a creare gioco, segna poco e imposta le partite su un giro palla lento e sterile. I risultati arrivati finora e il quarto posto in classifica sono soprattutto il frutto di una solida organizzazione difensiva e di sporadiche ed episodiche sortite offensive. E sembra un paradosso se si butta un occhio alla composizione della rosa, la cui forza di fuoco, sulla carta, è concentrata proprio nel reparto d’attacco con interpreti molto dotati tecnicamente e invidiati da mezza Europa. Emblematico in questo senso il prolungato periodo di crisi che sta attraversando il capitano, Wayne Rooney, mai davvero integrato negli schemi della squadra e con le polveri bagnate da troppo tempo. Il pareggio a reti inviolate di sabato scorso contro il West Ham è solo l’ultimo di una lunga e triste serie: 5 negli ultimi 9 incontri, di cui ben 4 tra le mura amiche in poco più di un mese. Gol fatti? 20, ossia meno 12 dalla capolista Leicester del “catenacciaro” Ranieri (sic!). Come se non bastasse, lo United è la squadra che ha totalizzato il maggior numero di passaggi all’indietro in tutta la Premier League, quella con la più bassa percentuale di palloni diretti nella metà campo avversaria e, dietro il Sunderland, anche quella che fa meno tiri in porta. Numeri agghiaccianti per un club di tale blasone, dati desolanti che provocano sbadigli alla sola lettura e che testimoniano freddamente la criticità della situazione.
Se il rosso fuoco dei Red Devils si sta tramutando lentamente in grigio e al Teatro dei Sogni aleggia sempre più insistentemente il fantasma di Sir Alex Ferguson, il principale imputato è sicuramente Louis van Gaal. Una delle prime istantanee che mi viene in mente quando sento questo nome è il calcio volante in cui si esibì durante la finale di Coppa dei Campioni del 1995, vinta dal suo Ajax ai danni del Milan.

Un gesto estremamente insolito per un allenatore di calcio, ma in qualche modo significativo. La mia mente lavora spesso per associazioni molto istintive e poco razionali. Il mix acrobazia volante + nazionalità olandese (e quindi calcio totale) + Ajax anni ’90 si è trasformato in un’equazione esplosiva il cui risultato finale è: gioco spettacolare. A volte magari anche spregiudicato, ma sempre, sicuramente, divertente. Quel tipo di gioco che mi aspetterei sempre da uno come van Gaal, quello che né io né nessun altro ha mai avuto modo di apprezzare da quando van Gaal è l’allenatore del Manchester United.
Un recente editoriale di Red News (storica fanzine del club) ha racchiuso in poche battute il sentimento popolare dominante in questo momento a proposito della questione van Gaal. Il concetto è sostanzialmente questo: mentre i giocatori erano pronti a correre attraverso un muro di mattoni per Ferguson, con van Gaal sembra più che stiano correndoci dentro questo muro. E i tifosi assistono impotenti a una squadra che sbatte continuamente contro un muro. Eccolo ancora, puntuale, il fantasma di Sir Alex.
Ci sarebbe anche un precedente a far preoccupare ulteriormente il boss olandese. A tre mesi dalla fine della stagione 1980-81, dopo una striscia di 5 gare consecutive senza segnare, l’allora manager dello United Dave Sexton venne esonerato. In quattro anni non fu capace di vincere nulla, avendo raggiunto come massimo risultato una finale di Fa Cup. Anche allora, come oggi, ci si annoiava a veder giocare i Diavoli Rossi. Ma oggi, come non allora, sono stati spesi tanti soldi e alle spalle c’è una lunga e fastosa tradizione di vittorie e spettacolo da onorare.
FUNNY CITY
Ma se Atene piange, Sparta di sicuro non ride. Mentre lo United si sta affermando come massimo esempio europeo di noia applicata al calcio, i Citizens divertono. I propri tifosi nei giorni di grazia. Ma anche, in un afflato di generosità, quelli avversari. E non di rado recentemente.
Statistiche e numeri parlano chiaro anche qui e fanno scattare più campanelli di allarme: 3 sconfitte nelle ultime 5 partite giocate, vittoria esterna in Premier League che manca addirittura dal 12 settembre (contro il Crystal Palace), primato in classifica perso e difesa colabrodo. Più in generale, un rendimento imprevedibile e pericolosamente altalenante, prodotto da una squadra il più delle volte sbilanciata in campo. Se a tutto questo si aggiunge il peso dei milioni spesi negli ultimi anni dagli sceicchi e lo scarto sensibile tra aspettative e risultati, la domanda sorge spontanea: Pellegrini è adeguato?
Il City potenzialmente è la tra le squadre più forti d’Europa, ma sembra divertirsi (per rimanere in tema…) a non mostrarlo. Mancanza di continuità e di stabilità ad alti livelli e magre figure in Champions League: tutti fattori che ostano allo status di top team europeo. Ciò che colpisce di più è proprio l’assenza di un sistema di gioco organizzato e consolidato. Manuel Pellegrini non è riuscito ancora a imprimere una riconoscibile identità tattica a una squadra farcita di campioni, nonostante abbia a disposizione una rosa di primo livello che, soprattutto, dalla cintola in su gode di una qualità e di un assortimento senza pari in Inghilterra. Il club dell’Etihad alterna consistenti strisce di vittorie a periodi di vuoto assoluto, in cui sembra un potente robot di ultima generazione con la batteria in tilt.
All’orizzonte, intanto, si staglia sempre più nitidamente l’immagine affascinante di Pep Guardiola. Il nome del tecnico catalano sta già facendo sognare tifosi e addetti ai lavori, curiosi di vedere la fuoriserie City guidata finalmente da un grande e affermato pilota.
PROSPETTIVE
In una Premier senza padroni, in cuI a comandare è attualmente il Leicester City, i due club di Manchester possono comunque ancora sperare nel titolo. Entrambi a 29 punti, occupano terza e quarta posizione in classifica: una situazione non ottimale certo, ma che lascia ampi margini di recupero. E il fatto che due squadre perennemente in confusione e in crisi di risultati nell’ultimo periodo siano ancora da considerare tra le favorite per la vittoria finale, lascia più di una perplessità sul momento storico del calcio inglese, la cui cagionevole salute è testimoniata anche dalla difficile situazione in Champions di 3 club su 4 (Arsenal, Chelsea e lo stesso Manchester United si giocano la qualificazione tra stasera e domani).
I Citizens hanno bisogno al più presto di ritrovare i loro punti di riferimento in campo per tornare a macinare gioco e risultati. Aguero è una macchina da gol di cui non si può fare a meno; Kompany è l’anima del gruppo e il leader imprescindibile del reparto difensivo; Yaya Toure, seppur tra alti e bassi, resta un pilastro fondamentale per gli equilibri della squadra. Se girano loro, automaticamente anche gli altri ritrovano certezze e organizzazione. I Red Devils, dal canto loro, hanno più strada da fare, anche perché sono reduci da un paio di stagioni negative e, forse, dovrebbero puntare innanzitutto sulla voglia di riscatto di un ambiente abituato al dolce sapore del trionfo. Il primo a dover cambiare marcia è proprio van Gaal: i giocatori li ha scelti lui, senza badare a spese in estate. Ma il gioco latita e la pazienza sta per finire.
Intanto, le nuvole si addensano nel cielo cittadino: i Mancuniani si chiedono se vedranno presto il sole sbucare da queste nuvole o se è in arrivo una tempesta.
Nicola Cicchelli