Marsiglia, città operaia e città di mare. Città affascinante ma pericolosa, galeotta ma appassionante. In quest’atmosfera 28 anni fa nasceva il giovane Samir Nasri, da una famiglia algerina e piena di speranze in quella città della Francia che cullò i migliori talenti di origini africane, da Zinedine Zidane a Didier Drogba.
Troppo scontato è il paragone proprio con Zizou quando a 9 anni viene ingaggiato come enfant prodige dallo stesso Olympique de Marseille e a 17 fa il suo esordio in prima squadra. Il giovane Samir ha tutto e non gli manca niente: salta l’uomo con rapidità innata e non perde mai la palla dai piedi, devastante negli inserimenti senza palla e ottimo palleggiatore. Non è alto, ma con la tecnica riesce a stenderli tutti.
Dal 2004 al 2007 porta il club Marsigliese in Champions League e viene nominato regista fondamentale di una squadra già di per sé ricca di qualità con Valbuena e Ribery.
Mentre quest’ultimo approdava a Monaco di Baviera a fare coppia con Luca Toni, Samir decise di restare ancora un anno nella città che lo aveva fatto crescere sportivamente ed umanamente. Poi però accade che arrivi l’Arsenal, una big di Premier League, che lo faccia con prepotenza e che riesca a convincerti proponendoti un futuro stellare in un club dal passato centenario proprio come l’Olympique.
Nasri ovviamente accettò quel contratto faraonico e lo stesso fece la società francese, che si mise in tasca quasi 20 milioni di euro e lasciò oltrepassare la Manica per arrivare a Londra uno dei talenti più cristallini mai passati dal Velodrome. A proposito di cristallo, il francese si dimostra subito tanto fenomenale quanto fragile; una volta arrivato a contatto con un calcio fisico come quello poco pulito della Gran Bretagna entra in un tunnel molto cupo di infortuni lunghi e dolorosi, alternati da periodi di assoluto strapotere sul campo.
Samir Nasri è fortissimo e lo dimostra segnando all’esordio in maglia Gunners contro il West Bromwich Albion, ma ogni volta che arriva vicino alla consacrazione definitiva riesce a mandare tutto all’aria per colpa di qualche osso fragile, di qualche legamento poco solido e di tanti, decisamente troppi acciacchi fisici per un ventenne.
Il Manchester City però lo punta, ha già una squadra stellare ma Roberto Mancini stravede per lui e lo vuole ad ogni costo. Tutto ha un prezzo e Samir vale più di 30 milioni di euro, quindi assegno staccato e l’algerino passa poco più a nord in cerca di quel titolo mancato con il solito Arsenal laureato a pieni voti in belle aspettative ma sogni infranti.
Nasri e Silva inventano, El Kun spaventa e Dzeko la mette dentro: il Manchester City domina per tutta la stagione e vince il titolo pur cercando di perderlo nelle ultime giornate e dovendo ringraziare un gol di Walters. Si, proprio l’irlandese dello Stoke City che condannò il Bolton, facendo rilassare quel Q.P.R. che stava tentando e riuscendo nell’impresa all’Etihad Stadium. Morale della favola: vittoria finale del City in rimonta, Mancini e città in delirio ed è titolo dopo 43 anni di buio sportivo.
Il resto è storia presente, con un giocatore visto a sprazzi da quel 2011 ad oggi, un po’ per colpa di una rosa troppo forte e competitiva come quella dei Citizens ed un po’ per i continui pit-stop a cui è costretto ogni anno per almeno due o tre mesi. I giocatori come lui sono meravigliosi per le magie sul campo, ma come per ogni giocoliere lo spettacolo non dura mai più di qualche minuto, breve ma intenso.
Il giocatore algerino è un jolly per il Manchester e per i suoi tifosi; un gioiello capace di lasciare a bocca aperta ma da ammirare solo per poco, non si sa mai che possa rompersi in mille pezzi.
Nasri è però così, talento cristallino ma fisico di cristallo: prendere o lasciare.
Lorenzo Semino (articolo tratto da numerosette.eu)
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