13 Marzo 2016,ore 12.46

FOCUS CP Ramsey contro tutti

Aaron Ramsey Arsenal

L’Arsenal degli ultimi anni sembra una squadra sospesa tra immaturità ed entusiasmo. Un’impressione confermata in pieno anche in questa stagione: forte abbastanza da sfiorare il titolo, ma non tanto da afferrarlo con tutte e due le mani. Una formazione ricca di talento e contraddizioni che non riesce a uscire dal loop autolesionistico in cui si è cacciata, che si specchia a volte troppo nella tecnica dei suoi giocatori migliori e si dimentica di difendere e giocare da vera squadra.

In questo Arsenal strano e mai del tutto compiuto, c’è un uomo più degli altri che unisce in sé talento naturale, disciplina tattica e fisica, concretezza, ossia le qualità necessarie per arrivare alla vittoria: Aaron Ramsey. Non è un caso che da quando ha fatto il suo esordio tra le fila dei Gunners, il gallese sia stato utilizzato da Wenger praticamente in tutti i ruoli del centrocampo, non facendo mai mancare il suo solido contributo alla causa. Nell’ultima contro il Tottenham, per esempio, è partito largo a destra nel terzetto di trequartisti alle spalle della prima punta (cosa che gli capita spesso ultimamente), poi ha dovuto arretrare il suo raggio d’azione in mediana per colmare il vuoto lasciato da Coquelin. Sempre presente, imprescindibile nelle giravolte tattiche di Wenger, Ramsey è il classico giocatore su cui puoi contare a occhi chiusi. Anche perché quando li riapri è capace che lo vedi mentre segna gol del genere:

 

Nella gioia di un gol spettacolare e importantissimo contro i rivali cittadini, Ramsey non si è fatto mancare una piccola vena polemica. Con il più classico degli indici portati sulla bocca in tono di sfida, ha voluto zittire gli ostili tifosi Spurs. Ma mi piace pensare che con quel dito sulle labbra abbia voluto in realtà mettere a tacere il mondo intero, in un moto di orgoglio auto-compiaciuto che si afferma definitivamente sopra quelle striscianti e frivole voci scaramantiche che rimbalzano ormai da anni sui vari social e sulla carta stampata. Perché nonostante le sue evidenti doti da calciatore, in certi ambienti Ramsey è prima di tutto “quello della maledizione”, quello che quando segna bisogna chiedersi “chi è il prossimo a morire?”, quello delle facili ironie che, pur nella loro ingenuità di fondo, non danno la giusta immagine e tendono ad alterare la realtà dei fatti.

SPORTIVO NATO

Aaron James Ramsey, il Galles nel sangue e lo sport nel DNA. Caerphilly – cittadina del sud del Galles nota soprattutto per l’omonimo formaggio locale e per il secondo castello più grande dell’intera Gran Bretagna dopo quello inglese di Windsor – gli ha dato i natali il 26 dicembre del 1990. Data non banale: giorno di Santo Stefano, ma ciò che conta di più Boxing Day, ossia sacro appuntamento col football d’Oltremanica.

Il ragazzo cresce a pane e sport. Il padre Kevin è un ex calciatore, ma con il pallone sferico non è stato propriamente amore a prima vista. Prima di intraprendere definitivamente la carriera calcistica, sul cammino sportivo di Aaron si presentano diversi bivi: all’iniziale passione per il rugby – lo sport più popolare in città – segue un significativo approccio con il pentathlon, disciplina in cui si laurea campione nazionale nel 2005. Deve essere stato allora davvero convincente il suo primo calcio a un pallone, per lui e per gli osservatori, se alla fine il momento sliding doors di Ramsey si sia risolto a favore del football. E infatti il giovane Aaron si segnala fin da subito come uno dei migliori prospetti in circolazione nel Galles, tanto da meritare la chiamata del Cardiff City, prestigioso e storico club con il quale svolge tutta la trafila delle giovanili fino al debutto tra i grandi nell’ultima giornata del campionato 2006-2007. A soli 16 anni e 124 giorni Ramsey diventa il giocatore più giovane ad esordire con la maglia del Cardiff City. Ha inizio così, con un record, la scalata inarrestabile al ghota del calcio da parte di questo ragazzino dal volto pulito e dalla passione infinita.

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Un giovanissimo Ramsey a metà tra attore in erba e membro di una boy band

La svolta per il successo arriva grazie a un torneo di FA Cup giocato alla grande: le prestazioni da veterano del centrocampista gallese attirano le attenzioni dei club di Premier (su tutti Manchester United, Everton e Arsenal). Alla fine la spuntano i Gunners, per merito di una corte sfrenata condotta da Wenger in persona, il quale decide addirittura di mandare un aereo privato a casa Ramsey nell’estate del 2008 per ottenere un colloquio faccia a faccia con il ragazzo in Svizzera (dove nel frattempo l’allenatore francese sta seguendo gli Europei). Ramsey si sente profondamente colpito e si convince a sposare la causa Arsenal: firma sul contratto, champagne stappato e tanti saluti a Sir Alex.

Un importante spartiacque della carriera di Aaron coincide con il terribile infortunio patito il 27 febbraio 2010 in uno scontro di gioco con Ryan Shawcross. Impatto tremendo, diagnosi agghiacciante: doppia frattura di tibia e perone e percorso di crescita bruscamente interrotto. Più del pieno recupero fisico in questi casi ciò che preoccupa maggiormente e fa davvero la differenza è l’approccio psicologico del calciatore al rientro da un lungo stop. Correre a più non posso, entrare in tackle, mettere la gamba in un contrasto: niente è più scontato e ci sono fior fior di illustri esempi di grandi giocatori mai più tornati quelli di una volta dopo gravi incidenti. Ma Ramsey è uno di quelli dalla scorza dura, il suo passato nel fango e nelle botte del rugby è lì in uno spazio della sua memoria interna. Il ragazzo non solo si rialza, ma comincia a correre più di prima e più degli altri. Comincia a fare la differenza, a caricarsi la squadra sulle spalle, a studiare da leader: è un nuovo Ramsey quello che ha gettato via le stampelle, Wenger si accorge di avere tra le mani un oggetto prezioso di cui difficilmente potrà fare a meno in futuro.

A(vanti)S(hawcross) – D(opo)S(hawcross): la caduta, la paura. La risalita, la gloria

Imprescindibile e decisivo nel frattempo Ramsey lo è anche in Nazionale, mai trascurata, anzi. Insieme a Bale forma la coppia di riferimento attorno alla quale cresce una squadra forte come non mai e che non a caso raggiungerà una storica qualificazione agli Europei. Del Galles Ramsey è diventato anche il capitano più giovane di sempre, quando all’età di 20 anni e 90 giorni ha messo la fascia al braccio in un match contro l’Inghilterra del marzo 2011.

BOX TO BOX

Se ci fosse un manuale per mezzali Ramsey dovrebbe essere la prima firma. Se esistesse un corso universitario riservato agli aspiranti calciatori a tutto campo Ramsey meriterebbe sicuramente una cattedra. Perché Ramsey sa fare tutto quello che il Centrocampista Moderno deve saper fare. Ha tutti i presupposti necessari per essere certificato B.t.B.P. (Box to Box Player).  Visione di gioco: check; passaggio filtrante: check; quantità e qualità: check; recupero palla: check; inserimento da dietro; (stra)check; aggressività: check; gol e assist: check (alla potenza); poliedricità: check; colpo di testa: check.

Aspettate, manca qualcosa. Forse un buon tiro da fuori. O forse no…

 

E di gol decisivi in momenti cruciali ne abbiamo?

La specialità di casa. In finale di Fa Cup. In rimonta. All’ultimo respiro dei tempi supplementari

Il rapporto con Wenger si è evoluto da attrazione fatale a fiducia totale. In mezzo, una miscela fatta di sostanza e affidabilità, il carburante ideale per alimentare una relazione allenatore-giocatore. Il fatto che l’alsaziano non ci rinunci praticamente mai e, pur di metterlo in campo, lo sacrifichi anche sulla fascia destra non è cosa di poco conto. Nessuno come Ramsey riesce a garantire equilibrio a una squadra storicamente votata all’attacco, facendo bene tante cose nell’arco degli stessi 90 minuti. Eccellere nel fondamentale dell’inserimento da dietro, per esempio, in un team che tende da sempre a svuotare l’area di rigore per favorire i tagli di centrocampisti ed esterni deve essere stato un valido argomento a suo favore nel tempo. O ancora, andare con naturalezza e velocemente in transizione da un’area all’altra del campo mantenendo sempre una discreta lucidità, deve aver contribuito a farlo amare dai suoi tifosi e apprezzare particolarmente dai compagni. Chissà quante birre sarebbe disposto a pagargli per questo un pigro come Ozil.

Contro l’Aston Villa una dimostrazione pratica del suo stile di gioco: al minuto 0:56 il punto focale della lezione

Fulgido esempio di atleta che ottimizza al meglio lo spazio e il tempo a sua disposizione, Ramsey è efficienza in movimento sul rettangolo verde. Non vistoso, quanto efficace. Non lezioso, quanto determinante. Allora smettiamola di inquadrarlo banalmente solo in un’ottica apotropaica e cominciamo a chiederci invece quanti interpreti del ruolo di mezzala più forti di lui ci sono in Europa. A 25 anni compiuti, il numero 16 gallese ha già collezionato più di 40 gol in carriera, affermandosi come uno dei centrocampisti più prolifici della Premier League. Nella stagione in corso è già a quota 6 gol e 4 assist in 33 presenze in tutte le competizioni. Tra gli altri, particolarmente significativi i dati statistici relativi ai tiri in porta a partita (2.3) e alla percentuale di passaggi riusciti (85.9%). Scendendo ancor più nel dettaglio, dei 5 gol messi a referto in campionato 3 sono arrivati quando è stato impiegato in posizione centrale e 2 partendo defilato a destra. Una distribuzione equilibrata che testimonia al meglio la sua estrema duttilità tattica, anche se a favore della tesi che lo vede più adatto a giocare in mezzo ci sarebbe il fatto che tutti gli assist serviti sono arrivati da interno di centrocampo.

RAMSEY PORTA BENE

Numeri e dati di fatto che parlano chiaro e che dovrebbero mettere a tacere qualsiasi voce che non riguardi il valore tecnico del giocatore. Della cui dimensione assoluta si può discutere, per carità. Ma cercando di evitare di cadere in discorsi che col calcio c’entrano zero. Come quelli tirati fuori, per l’ennesima volta, da alcuni tabloid inglesi anche dopo l’ultimo gol contro il Tottenham. Il doppio pretesto per la prima pagina sensazionalistica è stato offerto in pasto agli “sciacalli dell’informazione” dalle morti in successione di Nancy Reagan (ex first lady USA)  e Ray Tomlinson (l’ingegnere informatico cui si deve la scoperta delle e-mail).

COMUNICAZIONE DI SERVIZIO AI CREDULONI IRRIDUCIBILI: una aveva 95 anni, l’altro 74. Ramsey non c’entra niente. Sapete com’è, quel ciclo biologico chiamato vita prima o poi termina, e per i personaggi su citati – pace all’anima loro – il sipario è calato più poi che prima.

Ma anche volendo stare al gioco della superstizione bisogna evidenziare che Ramsey in realtà non è così “letale” (le marcature del gallese superano di gran lunga le morti illustri) e la curiosa e macabra coincidenza non così puntuale (ci sono stati casi verificatisi anche 3-4 giorni dopo un gol). Non mi venite a dire che la maledizione si estende sine die. E poi, come la mettiamo con i gol segnati in Nazionale? Rientrano nella maledizione? Domande che probabilmente non troveranno mai risposte, perché in fondo va bene così. Queste sono le notizie che fanno vendere di più e coinvolgono una fetta di pubblico più ampia, comprensiva di quelli che di calcio capiscono poco o niente e dei cacciatori di gossip, curiosità e stravaganze ai limiti dell’orrido. Digitando la parola Ramsey su Google è un diluvio di notizie relative alla storia della maledizione.

Il ragazzo. sulla vicenda grottesca che lo coinvolge ormai da 5 anni ha speso poche parole, esternando al più una reazione di fastidio e preferendo far parlare il campo, come sempre. A buttarlo giù ci hanno provato in tanti. Non ce l’hanno fatta le spallate degli avversari del rugby più grossi di lui e nemmeno il tackle duro di Shawcross che gli ha spezzato una gamba. Alla narrazione incontrollata della maledizione Aaron può riservare al massimo una risata. E un altro gol.

 

NICOLA CICCHELLI