Negli ultimi anni sempre più giovani italiani stanno espatriando nella Premier League. Un sogno per tutti, il calcio più famoso e affascinante al mondo. Ma c’erano anni in cui non era comune oltrepassare lo Stretto della Manica, cercando di imporsi al di fuori dell’Italia. Uno dei primi ad asfaltare la strada è stato Arturo Lupoli, passando all’Arsenal degli invincibili nel 2004. Noi lo abbiamo inervistato, oggi che allena l’under 18 del suo Parma, ecco la nostra chiaccherata:
Innanzitutto buongiorno Arturo, vedendo tanti ragazzi italiani che vanno all’estero, ti consideri un po’ un apripista in questo senso?
“Prima di me c’erano stati i vari Dalla Bona, Gattuso e Materazzi. Non erano tantissimi, sicuramente io e Giuseppe Rossi siamo andati alla scoperta di un nuovo tipo di calcio. La Premier era un campionato importante, ma non era certamente la Premier di oggi. Il Manchester United e l’Arsenal rappresentavano le squadre più importanti all’epoca. Siamo stati tra i primi, per me è stata una scelta semplice. Quando ti chiama una squadra simile, la voglia di rapportarti e giocare con giocatori simili ti facilita le cose. All’epoca ero a Parma, poi il crack della Parmalat facilitò le cose, e portò molti di noi ad andare via”
A quell’età gestire tutto questo non è semplice. Come ti sei rapportato con la pressione?
“Non è sempre tutto rosa e fiori, il ritiro in Austria con la prima squadra, le difficoltà della lingua, passare dalla Primavera del Parma ad una prima squadra simile. Sono stati degli step forti, e molto veloci, hanno portato tante cose belle, ma hanno anche stressato quello che era il mio processo. Sicuramente il momento più bello è stato l’esordio contro il City, poi i due gol all’Everton hanno rappresentato un sogno, ed una cosa arrivata presto rispetto ai miei piani”
Proprio sullo stress, come combaciavi la passione di un giovane ragazzo, alle esigenze di un club come l’Arsenal^
“Era un club con dei campioni incredibili, ma il valore aggiunto era l’allenatore. Wenger era un allenatore che amava i giocatori forti, ma dava sempre l’opportunità ai giovani di fare degli step e di fare delle presenze in prima squadra. Veniva il lunedì a seguire il campionato delle riserve, dove giocavamo. Era molto attento ai percorsi di ognuno di noi, quando c’erano degli infortuni o delle partite di coppa ci dava delle opportunità. Non è una cosa che ho ritrovato tanto nella mia carriera.”
Wenger non era solo un allenatore, come confermato da molti. Aveva il controllo dell’intero club?
“Quando entravi al centro sportivo era tutto legato a lui. la postazione, il dove dovevano essere gli spogliatoi, da quello dei titolari, a quello della squadra b, fino all’under 18. Ha portato una piscina che si alzava e si abbassava, per il recupero degli infrtuni. Un qualcosa di innovativo, come la sauna negli spogliatoi. E ovviamente l’alimentazione, che prima era di stampo britannico. Lui ha portato una rivoluzione che all’epoca era drastica, ma che poi hanno seguito tutti. Il fatto che in tanti che sono passati da lui allenino non è un caso”
Com’era entrare in quello spogliatoio?
“Più il livello è alto, più trovi ragazzi umili. Entrare in uno spogliatoio con Ljungberg, Pires, Henry e Vieira, può metterti in soggezione. Ma loro mettevano a proprio agio i giovani, dandogli un qualche consiglio o con delle parole. Wenger poi aveva uno staff che curavano l’inserimenti di tutti. Oltre a me c’erano dei giovani come Senderos, Clichy e Fabregas mi aiutava, questo è stato importante”
Senti ancora qualcuno di questi ragazzi?
“Sento spesso Cesc (Fabregas n.d.r), soprattutto da quando è in Italia. Per me è un ragazzo a modo, intelligente, ci siamo visti per seguire un po’ di suoi allenamenti a Como. Abbiamo parlato di calcio e di fituro, ultimamente è sulla bocca di tutti, è un ragazzo che merita. Per me arriverà ad essere uno dei top allenatori”
Cosa manca a questo Arsenal per vincere. In Inghilterra in molti criticano Arteta per la mancanza di trofei
“In Inghilterrà è un argomento che sento spesso. Per me l’Arsenal ha fatto bene ad affidarsi ad un allenatore come Arteta. Ha idee, ha vissuto molti anni con Guardiola, credo che la differenza la faccia un progetto a lungo termine, in Italia su questo si ha meno pazienza. L’Arsenal è in buone mani. Ogni anno purtropo c’è qualcosa, il City che domina, il campionato del Liverpool. Ma i punti fatti dall’Arsenal, e gli step in Champions, penso che dimostrino che il percorso è quello giusto. Poi è normale che i tifosi vogliono dei trofei, ma a mio modo di vedere l’Arsenal è sulla strada giusta. Si tratta solo di credere nel percorso che stanno facendo anche come struttura, con l’arrivo di Berta. Lui porta una mentalità vincente, che è l’ultimo tassello che manca”
Hai un aneddoto su quel gruppo dei gunners?
“Sicuramente la voglia di vincere, la mentalità. Penso che loro te la trasmettono in tutto quello che fanno, il campione vuole sempre primeggiare, la fame di conoscere il meglio. Di episodi ce ne sono tanti. Mi ricordo che quando arrivò Walcott, all’epoca considerato il più veloce di tutta la Premier, Henry lo sfidò subito in allenamento. Si misero sulla linea di fondo campo, e sprintarono fino alla metà campo. Se non sbaglio vinse Walcott. Sempre un altro episodio di Henry fu quando tornò dai mondiali del 2006, dopo le sue vacanze. Quando mi vide disse “No, no non ti saluto (ride n.d.r), mi hai battuto in finale, senza di voi potevo vincere il Pallone D’oro“. Poi ci siamo messi a parlare e mi raccontò quella finale. Anche lui aveva un’umiltà nel raccontare le cose, lo rappresentano bene come persona”
Per chiudere, quale giocatore in Premier apprezzi particolarmente?
“Qui di giocatori ce ne sono tanti. Forse scelgo Odegaard, vederlo dal vivo, con che qualità gioca… probabilmente pagherei il biglietto per vederlo giocare.” Dovrebbe tirare di più? “Sicuramente.”